Salute e benessere

Il piccolo invertebrato marino che potrebbe aiutare a comprendere meglio il Parkinson e l'Alzheimer

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21 Ottobre 2024

Man mano che invecchiano, i Botryllus Schlosseri mostrano una riduzione del numero di neuroni e delle capacità cognitive, proprio come negli esseri umani. Inoltre, il loro cervello manifesta geni la cui espressione è tipica delle malattie degenerative umane come il Parkinson e l'Alzheimer. Su questi aspetti si basa uno studio, pubblicato su PNAS e condotto dalle Università di Padova, Stanford e Cham Zuckerberg Biohub.

Il botrillo


Molto comuni nei nostri mari, i tunicati sono invertebrati marini e i parenti più stretti dei vertebrati, tra cui l'uomo. Il botrillo, o Botryllus Schlosseri, è uno di questi tunicati. Forma piccole colonie in cui gli individui adulti si organizzano a forma di petali di fiori. La colonia può contenere centinaia di fiori. Nella Laguna veneta le colonie muoiono dopo 1-2 anni. In laboratorio, invece, possono rimanere in vita a lungo.

Sono proprio questi semplici animali al centro dell'articolo “Two distinte evolutive conserved neural degeneration pathways caratterizzate in a colonial chordate” pubblicato sulla rivista scientifica PNAS da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Biologia dell'Università di Padova e della Stanford University, in collaborazione con il Cham Zuckerberg Biohub di San Francisco. Nella pubblicazione, gli scienziati hanno dimostrato che i botrilli hanno una degenerazione cerebrale simile a quella osservata negli esseri umani. I ricercatori cercano di capire quali processi portano a questa degenerazione del sistema nervoso di questi animali per comprendere anche le neuropatologie che oggi colpiscono un gran numero di persone.


Lo studio


Grazie alle caratteristiche del suo ciclo vitale, il botrillo offre la possibilità di studiare la sua degenerazione cerebrale sia a breve termine - nel processo di riassorbimento ciclico e settimanale degli individui adulti che porta al suo rapido invecchiamento - sia a lungo termine, nell'invecchiamento dell'intera colonia. Coordinata da Chiara Anselmi, PhD presso l'Università di Padova e attualmente post-doc presso la Stanford University; Lucia Manni, del Dipartimento di Biologia dell'Università di Padova; e Ayelet Voskoboynik e Irv Weissman della Stanford University, la ricerca ha utilizzato colonie prelevate dalla Laguna Veneta e allevate presso la Stazione Idrobiologica di Chioggia e al Dipartimento di Biologia dell'Ateneo di Padova, oltre a quelle prelevati dalla Hopkins Marine Station, a Monterrey Bay, California.
 
Attraverso le analisi effettuate è stato osservato che la degenerazione del cervello del botrillo è molto simile a quella del cervello umano. Sia nella neurodegenerazione settimanale che in quella legata all'invecchiamento delle colonie si osserva una riduzione del numero di neuroni e una diminuzione delle capacità comportamentali. “È stato davvero sorprendente per noi vedere che nella degenerazione breve degli individui adulti il cervello cominciava a diminuire di volume qualche giorno prima del loro riassorbimento completo ovvero della loro morte. Dopo tre giorni di vita - spiega la professoressa Lucia Manni - il numero di neuroni nel cervello cominciava a diminuire, così come la loro capacità di rispondere a stimoli come il tocco della loro bocca, il sifone, attraverso cui l’acqua entra per la nutrizione e la respirazione. Questi stessi segni di invecchiamento erano poi presenti anche in individui di colonie neoformate rispetto a quelli presenti in colonie di soli 6 mesi. Eravamo quindi in presenza di due processi di neurodegenerazione la cui presenza non era mai stata sospettata, uno veloce e uno lento, nello stesso organismo”. 
 

Parkinson e Alzheimer


La cosa più interessante, secondo i ricercatori, è che, sia nel breve che nel lungo processo degenerativo, il cervello dell'animale manifesta geni la cui espressione è caratteristica delle malattie neurodegenerative umane, come il Parkinson e l'Alzheimer. “Ancor più incredibile è stato poi verificare che entrambi i processi di neurodegenerazione erano associati all’aumento di espressione di geni che caratterizzano le malattie neurodegenerative nell’uomo come l’Alzheimer, il Parkinson, la malattia di Huntington, la demenza frontotemporale e altre ancora – osserva Chiara Anselmi. "Molti di questi geni erano espressi in entrambi i processi neurodegenerativi, mentre una piccola parte li differenziava. Questi geni, pertanto, svolgono un ruolo anche in questi semplici animali e questo piccolo invertebrato può rappresentare una risorsa per comprendere come l’evoluzione abbia forgiato i processi neurodegenerativi e quali siano le relazioni tra invecchiamento e perdita della funzionalità neuronale”.

“Approfondire ora lo studio dell’invecchiamento e della neurodegenerazione in questo animale ci porterà a capire come il botrillo riesca a controllare e coordinare la neurodegenerazione ciclica rispetto a quella associata all’invecchiamento. Questo potrebbe svelarci qualcosa di inaspettato rispetto alla nostra possibilità di governare i processi neurodegenerativi nell’uomo”, concludono gli scienziati.

Man mano che invecchiano, i Botryllus Schlosseri mostrano una riduzione del numero di neuroni e delle capacità cognitive, proprio come negli esseri umani. Inoltre, il loro cervello manifesta geni la cui espressione è tipica delle malattie degenerative umane come il Parkinson e l'Alzheimer. Su questi aspetti si basa uno studio, pubblicato su PNAS e condotto dalle Università di Padova, Stanford e Cham Zuckerberg Biohub.

Il botrillo


Molto comuni nei nostri mari, i tunicati sono invertebrati marini e i parenti più stretti dei vertebrati, tra cui l'uomo. Il botrillo, o Botryllus Schlosseri, è uno di questi tunicati. Forma piccole colonie in cui gli individui adulti si organizzano a forma di petali di fiori. La colonia può contenere centinaia di fiori. Nella Laguna veneta le colonie muoiono dopo 1-2 anni. In laboratorio, invece, possono rimanere in vita a lungo.

Sono proprio questi semplici animali al centro dell'articolo “Two distinte evolutive conserved neural degeneration pathways caratterizzate in a colonial chordate” pubblicato sulla rivista scientifica PNAS da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Biologia dell'Università di Padova e della Stanford University, in collaborazione con il Cham Zuckerberg Biohub di San Francisco. Nella pubblicazione, gli scienziati hanno dimostrato che i botrilli hanno una degenerazione cerebrale simile a quella osservata negli esseri umani. I ricercatori cercano di capire quali processi portano a questa degenerazione del sistema nervoso di questi animali per comprendere anche le neuropatologie che oggi colpiscono un gran numero di persone.


Lo studio


Grazie alle caratteristiche del suo ciclo vitale, il botrillo offre la possibilità di studiare la sua degenerazione cerebrale sia a breve termine - nel processo di riassorbimento ciclico e settimanale degli individui adulti che porta al suo rapido invecchiamento - sia a lungo termine, nell'invecchiamento dell'intera colonia. Coordinata da Chiara Anselmi, PhD presso l'Università di Padova e attualmente post-doc presso la Stanford University; Lucia Manni, del Dipartimento di Biologia dell'Università di Padova; e Ayelet Voskoboynik e Irv Weissman della Stanford University, la ricerca ha utilizzato colonie prelevate dalla Laguna Veneta e allevate presso la Stazione Idrobiologica di Chioggia e al Dipartimento di Biologia dell'Ateneo di Padova, oltre a quelle prelevati dalla Hopkins Marine Station, a Monterrey Bay, California.
 
Attraverso le analisi effettuate è stato osservato che la degenerazione del cervello del botrillo è molto simile a quella del cervello umano. Sia nella neurodegenerazione settimanale che in quella legata all'invecchiamento delle colonie si osserva una riduzione del numero di neuroni e una diminuzione delle capacità comportamentali. “È stato davvero sorprendente per noi vedere che nella degenerazione breve degli individui adulti il cervello cominciava a diminuire di volume qualche giorno prima del loro riassorbimento completo ovvero della loro morte. Dopo tre giorni di vita - spiega la professoressa Lucia Manni - il numero di neuroni nel cervello cominciava a diminuire, così come la loro capacità di rispondere a stimoli come il tocco della loro bocca, il sifone, attraverso cui l’acqua entra per la nutrizione e la respirazione. Questi stessi segni di invecchiamento erano poi presenti anche in individui di colonie neoformate rispetto a quelli presenti in colonie di soli 6 mesi. Eravamo quindi in presenza di due processi di neurodegenerazione la cui presenza non era mai stata sospettata, uno veloce e uno lento, nello stesso organismo”. 
 

Parkinson e Alzheimer


La cosa più interessante, secondo i ricercatori, è che, sia nel breve che nel lungo processo degenerativo, il cervello dell'animale manifesta geni la cui espressione è caratteristica delle malattie neurodegenerative umane, come il Parkinson e l'Alzheimer. “Ancor più incredibile è stato poi verificare che entrambi i processi di neurodegenerazione erano associati all’aumento di espressione di geni che caratterizzano le malattie neurodegenerative nell’uomo come l’Alzheimer, il Parkinson, la malattia di Huntington, la demenza frontotemporale e altre ancora – osserva Chiara Anselmi. "Molti di questi geni erano espressi in entrambi i processi neurodegenerativi, mentre una piccola parte li differenziava. Questi geni, pertanto, svolgono un ruolo anche in questi semplici animali e questo piccolo invertebrato può rappresentare una risorsa per comprendere come l’evoluzione abbia forgiato i processi neurodegenerativi e quali siano le relazioni tra invecchiamento e perdita della funzionalità neuronale”.

“Approfondire ora lo studio dell’invecchiamento e della neurodegenerazione in questo animale ci porterà a capire come il botrillo riesca a controllare e coordinare la neurodegenerazione ciclica rispetto a quella associata all’invecchiamento. Questo potrebbe svelarci qualcosa di inaspettato rispetto alla nostra possibilità di governare i processi neurodegenerativi nell’uomo”, concludono gli scienziati.

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