Salute e benessere

Morbo di Alzheimer: individuate le 75 componenti genetiche coinvolte nella malattia

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14 Ottobre 2024

Il morbo di Alzheimer, per la sua gravità e complessità, rappresenta un disturbo ancora oggi al centro di numerosi e rilevanti studi scientifici: nella speranza di giungere a considerevoli traguardi, che possano contribuire al miglioramento del benessere di molti individui malati, ricercatori di tutto il mondo stanno effettuando differenti indagini diagnostiche volte ad affermare innovativi trattamenti terapeutici per la cura della malattia. Uno degli studi effettuati più di recente ha coinvolto anche l’Italia: attraverso l’approfondimento dei meccanismi che caratterizzano le varie forme di demenza nei soggetti più anziani, sono state scoperte ben 75 nuove componenti genetiche, il cui studio potrebbe condurre a sorprendenti scoperte relative ai processi fisiopatologici in corso.

L’indagine, che ha interessato l’analisi della patologia dell’Alzheimer nella sua totalità, è stata pubblicata sulla rivista scientifica “Nature Genetics”: coordinata dall’Istituto nazionale francese per la ricerca sulla salute e medicina (Inserm), dall’Università di Lille, dall’Istituto Pasteur e dall’Ospedale Universitario di Lille, la ricerca ha visto la collaborazione e la partecipazione anche di moltissimi atenei e centri di ricerca italiani, fra i quali le Università di Firenze, di Milano e Milano-Bicocca, di Bari, di Perugia, di Torino, dell’Irccs Fondazione Santa Lucia e del Policlinico Gemelli. Il lavoro, che  ha quindi coinvolto ricercatori di Europa, Stati Uniti e Australia, ha evidenziato lo studio dei dati genetici di 111.326 persone a cui era stata diagnosticata la malattia di Alzheimer, o che avevano parenti stretti affetti dalla patologia, paragonandoli con 677.663 campioni di controllo, cioè persone sane: mediante la fornitura di campioni biologici, DNA estratto dal sangue, gli Istituti hanno svolto un’attenta attività di comprensione dell’origine della malattia, che nella maggior parte dei casi si ritiene essere causata dall’interazione di diversi fattori di predisposizione genetica con fattori ambientali. La caratterizzazione dei fattori di rischio genetico, secondo gli esperti, sarebbe importante per garantire l’individuazione dei processi alla base della malattia, con la creazione e lo sviluppo di nuovi bersagli terapeutici.

Le regioni genetiche scoperte, infatti, confermerebbero non solo l’importanza dei fenomeni già precedentemente riscontrati, ma porrebbero in risalto anche tutti i vari meccanismi che non si ritenevano collegati a questo disturbo: oltre all'accumulo nel cervello della proteina beta-amiloide, e alla conseguente degenerazione della proteina Tau, i risultati hanno posto l'attenzione sulle disfunzioni innate del sistema immunitario e della microglia, così come sulle molecole implicate nella risposta infiammatoria dovuta alle lesioni dei tessuti. I ricercatori, proseguendo lo studio su un campione ancora più vasto di soggetti sani e malati, intendono inoltre rilevare se anche gli elementi di rischio ipotizzati possano essere gli stessi in tutte le popolazioni: tramite una dettagliata esplorazione delle caratteristiche genetiche che contraddistinguono l’Alzheimer, sarebbe quindi possibile identificare farmaci più efficaci, in grado non solo di limitare i differenti sintomi, ma anche di determinare l’apertura verso una nuova strada di ricerca. La demenza, che colpisce ad oggi milioni di persone in tutto il mondo, necessita di più efficienti sistemi di intervento: una corretta evoluzione delle teorie preesistenti potrebbe garantire alla scienza un importante passo in avanti, per raggiungere soluzioni operative più valide e all’avanguardia.

Il morbo di Alzheimer, per la sua gravità e complessità, rappresenta un disturbo ancora oggi al centro di numerosi e rilevanti studi scientifici: nella speranza di giungere a considerevoli traguardi, che possano contribuire al miglioramento del benessere di molti individui malati, ricercatori di tutto il mondo stanno effettuando differenti indagini diagnostiche volte ad affermare innovativi trattamenti terapeutici per la cura della malattia. Uno degli studi effettuati più di recente ha coinvolto anche l’Italia: attraverso l’approfondimento dei meccanismi che caratterizzano le varie forme di demenza nei soggetti più anziani, sono state scoperte ben 75 nuove componenti genetiche, il cui studio potrebbe condurre a sorprendenti scoperte relative ai processi fisiopatologici in corso.

L’indagine, che ha interessato l’analisi della patologia dell’Alzheimer nella sua totalità, è stata pubblicata sulla rivista scientifica “Nature Genetics”: coordinata dall’Istituto nazionale francese per la ricerca sulla salute e medicina (Inserm), dall’Università di Lille, dall’Istituto Pasteur e dall’Ospedale Universitario di Lille, la ricerca ha visto la collaborazione e la partecipazione anche di moltissimi atenei e centri di ricerca italiani, fra i quali le Università di Firenze, di Milano e Milano-Bicocca, di Bari, di Perugia, di Torino, dell’Irccs Fondazione Santa Lucia e del Policlinico Gemelli. Il lavoro, che  ha quindi coinvolto ricercatori di Europa, Stati Uniti e Australia, ha evidenziato lo studio dei dati genetici di 111.326 persone a cui era stata diagnosticata la malattia di Alzheimer, o che avevano parenti stretti affetti dalla patologia, paragonandoli con 677.663 campioni di controllo, cioè persone sane: mediante la fornitura di campioni biologici, DNA estratto dal sangue, gli Istituti hanno svolto un’attenta attività di comprensione dell’origine della malattia, che nella maggior parte dei casi si ritiene essere causata dall’interazione di diversi fattori di predisposizione genetica con fattori ambientali. La caratterizzazione dei fattori di rischio genetico, secondo gli esperti, sarebbe importante per garantire l’individuazione dei processi alla base della malattia, con la creazione e lo sviluppo di nuovi bersagli terapeutici.

Le regioni genetiche scoperte, infatti, confermerebbero non solo l’importanza dei fenomeni già precedentemente riscontrati, ma porrebbero in risalto anche tutti i vari meccanismi che non si ritenevano collegati a questo disturbo: oltre all'accumulo nel cervello della proteina beta-amiloide, e alla conseguente degenerazione della proteina Tau, i risultati hanno posto l'attenzione sulle disfunzioni innate del sistema immunitario e della microglia, così come sulle molecole implicate nella risposta infiammatoria dovuta alle lesioni dei tessuti. I ricercatori, proseguendo lo studio su un campione ancora più vasto di soggetti sani e malati, intendono inoltre rilevare se anche gli elementi di rischio ipotizzati possano essere gli stessi in tutte le popolazioni: tramite una dettagliata esplorazione delle caratteristiche genetiche che contraddistinguono l’Alzheimer, sarebbe quindi possibile identificare farmaci più efficaci, in grado non solo di limitare i differenti sintomi, ma anche di determinare l’apertura verso una nuova strada di ricerca. La demenza, che colpisce ad oggi milioni di persone in tutto il mondo, necessita di più efficienti sistemi di intervento: una corretta evoluzione delle teorie preesistenti potrebbe garantire alla scienza un importante passo in avanti, per raggiungere soluzioni operative più valide e all’avanguardia.

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