Salute e benessere

Pacemaker cerebrale: la nuova tecnica di “stimolazione cerebrale profonda” per il trattamento dell’Alzheimer

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23 Ottobre 2024

Il Morbo di Alzheimer, complesso disturbo neurodegenerativo che tende a colpire la popolazione anziana con l’avanzare dell’età, costituisce una malattia ancora oggi oggetto di numerosi studi scientifici: l’invenzione di una cura in grado di rallentarne la comparsa e di limitarne gli effetti rappresenterebbe un punto di svolta per la medicina stessa, con benefici di enorme portata per tutti i pazienti più gravi. L’Alzheimer, infatti, provocando una graduale perdita delle funzioni intellettive del cervello, è spesso responsabile del declino cognitivo dei più anziani: una recente scoperta che potrebbe però supportare i malati nella gestione della patologia proviene dagli Stati Uniti, con la creazione di un nuovo “pacemaker cerebrale”, che attraverso l’uso della tecnica di stimolazione cerebrale profonda sarebbe in grado di contrastare l’attività intellettiva assicurando maggiore autonomia e indipendenza.

Concentrando la ricerca sul potere del pensiero e delle capacità della mente, e non solo sui processi di memoria, gli studiosi hanno focalizzato l’attenzione su un nuovo potenziale trattamento terapeutico: lo studio, pubblicato sul “Journal of Alzheimer Disease”, ha riguardato un nuovo esperimento volto a migliorare le capacità e le funzioni cerebrali dei pazienti affetti dal morbo, attraverso la tecnica della stimolazione cerebrale profonda, già adottata in precedenza per la gestione del Parkinson. La stimolazione, che prende nome dal suo dispositivo, il “pacemaker cerebrale”, potrebbe secondo i ricercatori influenzare l’interazione dei neuroni del cervello, determinandone l’attività: attraverso l'impianto di piccoli e sottili fili elettrici nel lobo frontale, il pacemaker formulerebbe impulsi elettrici al cervello, funzionando da stimolatore. Esso, incentivando il “metabolismo cerebrale”, aiuterebbe ad aumentare la connessione tra i neuroni facilitando la “connettività funzionale”, la cui disfunzione comporta il declino delle capacità decisionali e la perdita delle abilità intellettive nella risoluzione dei problemi. Il progetto, guidato e condotto dal Dr. Douglas Scharre presso l'Ohio State University Wexner Medical Center, suggerisce che il "pacemaker cerebrale" offrirebbe ai pazienti un generale miglioramento delle proprie facoltà, assicurando anche maggiore indipendenza per lo svolgimento delle attività quotidiane: il dispositivo, sicuro e stabile, rappresenterebbe una valida soluzione per ritardare il progresso della malattia, mantenendo il cervello attivo e dinamico.

L’Alzheimer, che secondo ricerche statistiche ha coinvolto circa 50 milioni di persone alla fine del 2017, potrebbe colpire 130 milioni di individui entro il 2050: il morbo, per la sua complessità e gravità, rappresenta perciò una patologia che necessita urgentemente di nuove strategie di intervento. Le ricerche, che si sono fino ad ora soffermate sul processo di memoria e sul recupero delle informazioni, sono oggi più orientate verso lo studio delle funzioni esecutive del cervello, capaci di rendere le persone indipendenti ed intellettualmente abili. L’esperimento, condotto solo su tre pazienti, ha permesso di registrare grazie all’operosità e all’efficienza del pacemaker, un miglioramento dell’indipendenza funzionale: sebbene la ricerca sia ancora ad una sua fase iniziale, che necessita di maggiore studio ed attenzione, i risultati riscontrati permettono di guardare al futuro con fiducia e ottimismo, nella speranza di poter giungere al più presto ad un punto di svolta per la cura della malattia.


Il Morbo di Alzheimer, complesso disturbo neurodegenerativo che tende a colpire la popolazione anziana con l’avanzare dell’età, costituisce una malattia ancora oggi oggetto di numerosi studi scientifici: l’invenzione di una cura in grado di rallentarne la comparsa e di limitarne gli effetti rappresenterebbe un punto di svolta per la medicina stessa, con benefici di enorme portata per tutti i pazienti più gravi. L’Alzheimer, infatti, provocando una graduale perdita delle funzioni intellettive del cervello, è spesso responsabile del declino cognitivo dei più anziani: una recente scoperta che potrebbe però supportare i malati nella gestione della patologia proviene dagli Stati Uniti, con la creazione di un nuovo “pacemaker cerebrale”, che attraverso l’uso della tecnica di stimolazione cerebrale profonda sarebbe in grado di contrastare l’attività intellettiva assicurando maggiore autonomia e indipendenza.

Concentrando la ricerca sul potere del pensiero e delle capacità della mente, e non solo sui processi di memoria, gli studiosi hanno focalizzato l’attenzione su un nuovo potenziale trattamento terapeutico: lo studio, pubblicato sul “Journal of Alzheimer Disease”, ha riguardato un nuovo esperimento volto a migliorare le capacità e le funzioni cerebrali dei pazienti affetti dal morbo, attraverso la tecnica della stimolazione cerebrale profonda, già adottata in precedenza per la gestione del Parkinson. La stimolazione, che prende nome dal suo dispositivo, il “pacemaker cerebrale”, potrebbe secondo i ricercatori influenzare l’interazione dei neuroni del cervello, determinandone l’attività: attraverso l'impianto di piccoli e sottili fili elettrici nel lobo frontale, il pacemaker formulerebbe impulsi elettrici al cervello, funzionando da stimolatore. Esso, incentivando il “metabolismo cerebrale”, aiuterebbe ad aumentare la connessione tra i neuroni facilitando la “connettività funzionale”, la cui disfunzione comporta il declino delle capacità decisionali e la perdita delle abilità intellettive nella risoluzione dei problemi. Il progetto, guidato e condotto dal Dr. Douglas Scharre presso l'Ohio State University Wexner Medical Center, suggerisce che il "pacemaker cerebrale" offrirebbe ai pazienti un generale miglioramento delle proprie facoltà, assicurando anche maggiore indipendenza per lo svolgimento delle attività quotidiane: il dispositivo, sicuro e stabile, rappresenterebbe una valida soluzione per ritardare il progresso della malattia, mantenendo il cervello attivo e dinamico.

L’Alzheimer, che secondo ricerche statistiche ha coinvolto circa 50 milioni di persone alla fine del 2017, potrebbe colpire 130 milioni di individui entro il 2050: il morbo, per la sua complessità e gravità, rappresenta perciò una patologia che necessita urgentemente di nuove strategie di intervento. Le ricerche, che si sono fino ad ora soffermate sul processo di memoria e sul recupero delle informazioni, sono oggi più orientate verso lo studio delle funzioni esecutive del cervello, capaci di rendere le persone indipendenti ed intellettualmente abili. L’esperimento, condotto solo su tre pazienti, ha permesso di registrare grazie all’operosità e all’efficienza del pacemaker, un miglioramento dell’indipendenza funzionale: sebbene la ricerca sia ancora ad una sua fase iniziale, che necessita di maggiore studio ed attenzione, i risultati riscontrati permettono di guardare al futuro con fiducia e ottimismo, nella speranza di poter giungere al più presto ad un punto di svolta per la cura della malattia.

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