Costume e Società

Perchè si fa fatica ad essere caregiver dei nostri genitori?

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29 Ottobre 2024

Tutti prima o poi diventiamo Caregiver, è inutile ritenere che si tratti di una condizione passeggera oppure, speranza ancora più vana, sperare che a noi non toccherà: si tratta di una evidenza della nostra natura umana di essere sociali. Allora perché nonostante questa evidenza non mettiamo in pratica nessuna azione, prevenzione, formazione per alleggerire il carico emotivo e psicologico che arriverà?

Confesso una mia convinzione maturata sia da caregiver che nella mia esperienza: mitigare, gestire questa condizione di vita in modo diverso è possibile. Un figlio caregiver degli anni 2000 è un figlio diverso rispetto al figlio anni 1960: la società è cambiata, i modi di vivere sono cambiati e con loro il modo di vivere la propria famiglia. Ormai non ci si ritrova più a vivere “8 sotto ad un tetto” e la vita molte volte ci impone di andare lontani per lavoro, oppure la situazione economica impone che tutti lavorino, senza lasciare persone casalinghe a disposizione per l’assistenza: questo influisce pesantemente sulla presa in carico dei nostri genitori e, spesso, non si può rinunciare al lavoro per assistere un caro malato o debilitato. 

Un altro aspetto di non poco conto riguarda il fatto che un tempo le donne erano alla base della gestione familiare, ora invece un caregiver può essere anche un figlio uomo, proprio per i motivi elencati brevemente. La società, quindi, è cambiata: insieme alle nuove difficoltà, però, esistono anche strumenti di aiuto e sostegno che un tempo erano impensabili: allora perchè i figli faticano ad essere caregiver?

Pensiamo ad un figlio che abita poco lontano dalla mamma over 80 ancora autonoma, ha una moglie e figli ormai adolescenti. La mamma richiede silenziosamente la sua presenza costante perché orgogliosamente non vuole aiuti e se li accetta allora li desidera esclusivamente e insistentemente da lui che si ritrova a dover fare tutto da solo. Qual’è allora la difficoltà? Il gioco dei ruoli che continua ad essere mamma-figlio e non due esseri alla pari: il tempo si è fermato e la mamma continua a sentirsi in un ruolo predominante e impone il suo volere al figlio che deve obbedire ed essere al suo servizio. Si tratta di vincoli e non di legami costruiti e alla pari; ecco una delle difficoltà del figlio caregiver: non poter decidere, non essere autonomo agli occhi della mamma che ha un ruolo costantemente di superiorità.

Questo porta a frustrazione, sentimento di incapacità e insufficienza agli occhi del figlio che viene trattato ancora come il bimbo che viene messo in castigo se non si comporta bene, che non sa cosa scegliere se non c’è la mamma, che viene sgridato e messo all’angolo...e magari quel figlio è padre a sua volta, ha una vita autonoma, un lavoro. Il sentimento creato varia dalla frustrazione all’inadeguatezza fino alla rabbia e al rifiuto della situazione della mamma. L’indipendenza è un grande problema nell'assistenza dei propri genitori.

Molti sono i testi a cui poter fare riferimento per capire da dove possa arrivare questa situazione di non indipendenza rispetto ai nostri genitori o più in generale che illustra le possibili origini dei rapporti difficili, per non dire malati, dei nostri rapporti con i genitori. Uno di questi ha catturato la mia curiosità: racconta di ferite morali, caratteriali che si riflettono addirittura nello sviluppo fisico. Ognuno di noi è plasmato dalla nascita dai comportamenti riflessi dei nostri genitori che a loro volta riversano il loro modo di essere genitori imparato dai propri. Conoscere le dinamiche con occhio positivo e propositivo può aiutare sicuramente a dare una svolta al nostro essere caregiver! 
L’osservazione dei caregiver finora incontrati rileva la correlazione tra le ferite subite e il loro modo di farsi carico moralmente e fisicamente dei loro cari, oltre al modo di affrontare la situazione. Ebbene, la maggior parte dei miei caregiver, involontariamente aveva o provava qualcosa legato ad una ferita: abbandono, rifiuto, ingiustizia, tradimento, umiliazione...tutto porta o deriva dagli atteggiamenti subiti che hanno determinato la nostra ferita inevitabile: malattie, postura, stato d’animo.

L’osservazione e la voglia di entrare in questo argomento a tratti strano, mi hanno permesso di capire meglio il mondo del caregiver: capire che le difficoltà non emergono solo perchè non si ha “un buon rapporto” o si vive lontano, ma dipendono dalle nostre origini che hanno plasmato le nostre ferite e queste si riflettono sul peso della gestione quotidiana dei nostri genitori. Essendo che la ferita è inevitabile, allora come è possibile vivere diversamente il ruolo di caregiver facendo amicizia con il passato e gettare un ponte costruttivo e morale con il nostro caro ovvero con il nostro passato? Occorre riscoprirsi, avere il coraggio di cercare dentro di sé fatti e emozioni che non vogliamo sentire, ascoltare, rivivere e analizzando avvenimenti del passato che ci portano ad essere i caregiver di oggi. Occorre coraggio, ma è il massimo senso di altruismo perché al contempo agiamo sia per noi che il nostro caro che per invecchiare e affrontare nel miglior modo possibile l’avanzare dell’età ha bisogno di sentimenti positivi e non di rabbia, rancore o subire vendetta.

Un esempio? Immaginiamo un caregiver di circa 40 anni che il desiderio di tenere accanto a sé la propria famiglia, di sentirsi rassicurato, che non li libera di nessun oggetto fisico e non trova pace se non stando sempre con la famiglia: allo stesso tempo non vuole essere un caregiver perché questo porta via tempo alla sua famiglia fino all’odio verso i suoi genitori che gli rubano il tempo. Un paradosso perchè da un lato vuole tutti vicini e dall’altro vuole indipendenza e prova odio. In questo caso ipotetico il caregiver ha avuto però il coraggio di rivolgersi a qualcuno per capire e affrontare insieme l’origine del suo sentimento così distruttivo: potrebbe emergere che lui è stato lasciato solo nei primi 3 anni di vita, la sua mamma era obbligata ad un letto di ospedale per un problema di salute, il papà era assente e le uniche figure che lo hanno cresciuto erano la nonna e la zia che però non hanno mai colmato quel vuoto d’amore.

Quell’odio verso i genitori assenti lui lo sente fin da bambino! Come può ora aiutare la sua famiglia, i suoi genitori se non aiuta prima sé stesso ad accettare di essere stato abbandonato, di avere subito questa situazione non per scelta, non per colpa sua e neanche per cattiveria nei suoi confronti? Occorre affrontare le proprie paure, i rapporti in sospeso, elaborare accettazione amorevole, recuperare la propria indipendenza e autonomia, autostima e fiducia in sé stessi oltre che nella vita che non ci fornisce amorevolezza, ma la possibilità di essere amore: prima per noi, poi per gli altri, ma occorre un primo passo. Chiedere aiuto con coraggio, non chiudersi in sé stessi a piangere.

Dottoressa Chantal Cerise
La Casa del Caregiver
@lacasadelcaregiver


Tutti prima o poi diventiamo Caregiver, è inutile ritenere che si tratti di una condizione passeggera oppure, speranza ancora più vana, sperare che a noi non toccherà: si tratta di una evidenza della nostra natura umana di essere sociali. Allora perché nonostante questa evidenza non mettiamo in pratica nessuna azione, prevenzione, formazione per alleggerire il carico emotivo e psicologico che arriverà?

Confesso una mia convinzione maturata sia da caregiver che nella mia esperienza: mitigare, gestire questa condizione di vita in modo diverso è possibile. Un figlio caregiver degli anni 2000 è un figlio diverso rispetto al figlio anni 1960: la società è cambiata, i modi di vivere sono cambiati e con loro il modo di vivere la propria famiglia. Ormai non ci si ritrova più a vivere “8 sotto ad un tetto” e la vita molte volte ci impone di andare lontani per lavoro, oppure la situazione economica impone che tutti lavorino, senza lasciare persone casalinghe a disposizione per l’assistenza: questo influisce pesantemente sulla presa in carico dei nostri genitori e, spesso, non si può rinunciare al lavoro per assistere un caro malato o debilitato. 

Un altro aspetto di non poco conto riguarda il fatto che un tempo le donne erano alla base della gestione familiare, ora invece un caregiver può essere anche un figlio uomo, proprio per i motivi elencati brevemente. La società, quindi, è cambiata: insieme alle nuove difficoltà, però, esistono anche strumenti di aiuto e sostegno che un tempo erano impensabili: allora perchè i figli faticano ad essere caregiver?

Pensiamo ad un figlio che abita poco lontano dalla mamma over 80 ancora autonoma, ha una moglie e figli ormai adolescenti. La mamma richiede silenziosamente la sua presenza costante perché orgogliosamente non vuole aiuti e se li accetta allora li desidera esclusivamente e insistentemente da lui che si ritrova a dover fare tutto da solo. Qual’è allora la difficoltà? Il gioco dei ruoli che continua ad essere mamma-figlio e non due esseri alla pari: il tempo si è fermato e la mamma continua a sentirsi in un ruolo predominante e impone il suo volere al figlio che deve obbedire ed essere al suo servizio. Si tratta di vincoli e non di legami costruiti e alla pari; ecco una delle difficoltà del figlio caregiver: non poter decidere, non essere autonomo agli occhi della mamma che ha un ruolo costantemente di superiorità.

Questo porta a frustrazione, sentimento di incapacità e insufficienza agli occhi del figlio che viene trattato ancora come il bimbo che viene messo in castigo se non si comporta bene, che non sa cosa scegliere se non c’è la mamma, che viene sgridato e messo all’angolo...e magari quel figlio è padre a sua volta, ha una vita autonoma, un lavoro. Il sentimento creato varia dalla frustrazione all’inadeguatezza fino alla rabbia e al rifiuto della situazione della mamma. L’indipendenza è un grande problema nell'assistenza dei propri genitori.

Molti sono i testi a cui poter fare riferimento per capire da dove possa arrivare questa situazione di non indipendenza rispetto ai nostri genitori o più in generale che illustra le possibili origini dei rapporti difficili, per non dire malati, dei nostri rapporti con i genitori. Uno di questi ha catturato la mia curiosità: racconta di ferite morali, caratteriali che si riflettono addirittura nello sviluppo fisico. Ognuno di noi è plasmato dalla nascita dai comportamenti riflessi dei nostri genitori che a loro volta riversano il loro modo di essere genitori imparato dai propri. Conoscere le dinamiche con occhio positivo e propositivo può aiutare sicuramente a dare una svolta al nostro essere caregiver! 
L’osservazione dei caregiver finora incontrati rileva la correlazione tra le ferite subite e il loro modo di farsi carico moralmente e fisicamente dei loro cari, oltre al modo di affrontare la situazione. Ebbene, la maggior parte dei miei caregiver, involontariamente aveva o provava qualcosa legato ad una ferita: abbandono, rifiuto, ingiustizia, tradimento, umiliazione...tutto porta o deriva dagli atteggiamenti subiti che hanno determinato la nostra ferita inevitabile: malattie, postura, stato d’animo.

L’osservazione e la voglia di entrare in questo argomento a tratti strano, mi hanno permesso di capire meglio il mondo del caregiver: capire che le difficoltà non emergono solo perchè non si ha “un buon rapporto” o si vive lontano, ma dipendono dalle nostre origini che hanno plasmato le nostre ferite e queste si riflettono sul peso della gestione quotidiana dei nostri genitori. Essendo che la ferita è inevitabile, allora come è possibile vivere diversamente il ruolo di caregiver facendo amicizia con il passato e gettare un ponte costruttivo e morale con il nostro caro ovvero con il nostro passato? Occorre riscoprirsi, avere il coraggio di cercare dentro di sé fatti e emozioni che non vogliamo sentire, ascoltare, rivivere e analizzando avvenimenti del passato che ci portano ad essere i caregiver di oggi. Occorre coraggio, ma è il massimo senso di altruismo perché al contempo agiamo sia per noi che il nostro caro che per invecchiare e affrontare nel miglior modo possibile l’avanzare dell’età ha bisogno di sentimenti positivi e non di rabbia, rancore o subire vendetta.

Un esempio? Immaginiamo un caregiver di circa 40 anni che il desiderio di tenere accanto a sé la propria famiglia, di sentirsi rassicurato, che non li libera di nessun oggetto fisico e non trova pace se non stando sempre con la famiglia: allo stesso tempo non vuole essere un caregiver perché questo porta via tempo alla sua famiglia fino all’odio verso i suoi genitori che gli rubano il tempo. Un paradosso perchè da un lato vuole tutti vicini e dall’altro vuole indipendenza e prova odio. In questo caso ipotetico il caregiver ha avuto però il coraggio di rivolgersi a qualcuno per capire e affrontare insieme l’origine del suo sentimento così distruttivo: potrebbe emergere che lui è stato lasciato solo nei primi 3 anni di vita, la sua mamma era obbligata ad un letto di ospedale per un problema di salute, il papà era assente e le uniche figure che lo hanno cresciuto erano la nonna e la zia che però non hanno mai colmato quel vuoto d’amore.

Quell’odio verso i genitori assenti lui lo sente fin da bambino! Come può ora aiutare la sua famiglia, i suoi genitori se non aiuta prima sé stesso ad accettare di essere stato abbandonato, di avere subito questa situazione non per scelta, non per colpa sua e neanche per cattiveria nei suoi confronti? Occorre affrontare le proprie paure, i rapporti in sospeso, elaborare accettazione amorevole, recuperare la propria indipendenza e autonomia, autostima e fiducia in sé stessi oltre che nella vita che non ci fornisce amorevolezza, ma la possibilità di essere amore: prima per noi, poi per gli altri, ma occorre un primo passo. Chiedere aiuto con coraggio, non chiudersi in sé stessi a piangere.

Dottoressa Chantal Cerise
La Casa del Caregiver
@lacasadelcaregiver

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