Costume e Società

Soluzione abitativa intelligente ed efficace, il cohousing per anziani è ancora poco diffuso in Italia

alt_text
25 Ottobre 2024

Finanziata da Fondazione Cariplo, la prima ricerca sulle politiche territoriali in materia di condivisione abitativa per gli anziani ha cercato di rispondere alle domande sul cohousing nella realtà italiana. La modalità, ancora poco conosciuta nel Paese, unisce alloggio privato e servizi condivisi, mantenendo la privacy che spesso viene sacrificata nelle tradizionali residenze per anziani. La ricerca, riportata in un articolo sul portale Vita, ha voluto capire, ad esempio, quali tipologie di servizi offre il co-housing, a chi è destinato, chi lo indirizza, a che punto è la sperimentazione e anche, se c'è spazio per questo tipo di alloggio per anziani nelle politiche regionali per la terza età in Italia.


Secondo la sintesi dello studio pubblicato sulla rivista, le Regioni hanno mosso i primi passi verso la normalizzazione del cohousing, ma faticano ancora a trasformare queste iniziative in politiche concrete e strutturate. Per inciso, per il momento il settore pubblico (regionale e nazionale) è in ritardo rispetto al terzo settore per quanto riguarda il modello.


Lo studio si è basato sugli ultimi piani sociali o socio-sanitari disponibili, nonché su atti e linee guida regionali, e mostra che l'Italia è decisamente indietro rispetto ad altri paesi europei. In quattro regioni (Abruzzo, Campania, Molise e Valle d'Aosta) le politiche regionali di condivisione abitativa sono ancora in fase di studio o approvazione. In altri nove sono oggetto di invito formale alla sperimentazione: Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana e Umbria.


La Basilicata, la Sardegna e le due Province autonome di Trento e Bolzano dispongono già di norme più dettagliate in merito alla riconversione di strutture esistenti o alla costruzione di nuove. Il Veneto, a sua volta, è stata la prima regione a sperimentare il co-housing nel 2013, con 1,2 milioni di euro, ma non ha proseguito la sperimentazione. L'indagine non ha coinvolto le regioni Sicilia e Liguria.


“È uno strumento che offre diversi benefici. Migliora la qualità della vita degli anziani, accresce l’autonomia funzionale, riduce gli accessi inappropriati al pronto soccorso e le ospedalizzazioni”, spiega Federico Pennestrì, coautore del lavoro, condotto anche da Rebecca Sergi (entrambi ricercatori dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano) e dal professor Nicola Pasini, associato di scienza politica della Università degli Studi di Milano


Peccato, sottolineano i ricercatori, che il cohousing sia ancora sulla carta nella maggior parte delle Regioni e che l'esperienza italiana soffra ancora di molte difficoltà, anche terminologiche. La distinzione tra coabitazione e co-residenza, ad esempio, è raramente operata nelle disposizioni regionali. La prima consiste nella condivisione di servizi e spazi domestici nella stessa unità abitativa. La seconda consiste nella condivisione di servizi comuni, ma nel mantenimento delle unità abitative e degli spazi domestici privati.

Per quanto riguarda i destinatari, solo l'Emilia Romagna e la Provincia di Bolzano prevedono la possibilità di estendere il servizio a persone non autosufficienti. Il Piemonte, a sua volta, è l'unica regione che consente anche la convivenza intergenerazionale. “Il cohousing è un servizio per persone autodeterminanti più che autosufficienti. Ha senso se gli appartamentini sono realizzati in edifici accanto a strutture assistenziali per anziani, pensiamo a una Rsa, in modo da poter beneficiare del contatto diretto con la centrale dei servizi in caso di bisogno. Per l’anziano sarebbe uno stress inutile trasferirsi prima in un appartamento in co-housing e poi, quando le condizioni si aggravano, in una struttura protetta in tutt’altra parte della città”, ritiene Fabio Toso, direttore generale della Fondazione “Opera Immacolata Concezione” di Padova, ente che dal 1996 gestisce 70 appartamenti in cohousing e che nel 2016 ne ha aggiunti altri 28.


“L’anziano va rassicurato perché l’abitazione è l’ultimo baluardo di risparmio. Purtroppo le incertezze del welfare inducono a preferire di morire da soli in casa propria piuttosto che in un posto che oggi funziona e domani chissà se funziona e chi lo gestirà”, afferma Maurizio Trabuio, direttore della Fondazione “La Casa”, onlus che gestisce 14 alloggi per anziani nella zona urbana di Padova. “In Italia gli anziani sono meno propensi a vivere con altri anziani non familiari”, concorda Pennestrì, che è anche l’autore di “Eppur si Muore. Vivere di più o vivere meglio?”. 




Finanziata da Fondazione Cariplo, la prima ricerca sulle politiche territoriali in materia di condivisione abitativa per gli anziani ha cercato di rispondere alle domande sul cohousing nella realtà italiana. La modalità, ancora poco conosciuta nel Paese, unisce alloggio privato e servizi condivisi, mantenendo la privacy che spesso viene sacrificata nelle tradizionali residenze per anziani. La ricerca, riportata in un articolo sul portale Vita, ha voluto capire, ad esempio, quali tipologie di servizi offre il co-housing, a chi è destinato, chi lo indirizza, a che punto è la sperimentazione e anche, se c'è spazio per questo tipo di alloggio per anziani nelle politiche regionali per la terza età in Italia.


Secondo la sintesi dello studio pubblicato sulla rivista, le Regioni hanno mosso i primi passi verso la normalizzazione del cohousing, ma faticano ancora a trasformare queste iniziative in politiche concrete e strutturate. Per inciso, per il momento il settore pubblico (regionale e nazionale) è in ritardo rispetto al terzo settore per quanto riguarda il modello.


Lo studio si è basato sugli ultimi piani sociali o socio-sanitari disponibili, nonché su atti e linee guida regionali, e mostra che l'Italia è decisamente indietro rispetto ad altri paesi europei. In quattro regioni (Abruzzo, Campania, Molise e Valle d'Aosta) le politiche regionali di condivisione abitativa sono ancora in fase di studio o approvazione. In altri nove sono oggetto di invito formale alla sperimentazione: Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana e Umbria.


La Basilicata, la Sardegna e le due Province autonome di Trento e Bolzano dispongono già di norme più dettagliate in merito alla riconversione di strutture esistenti o alla costruzione di nuove. Il Veneto, a sua volta, è stata la prima regione a sperimentare il co-housing nel 2013, con 1,2 milioni di euro, ma non ha proseguito la sperimentazione. L'indagine non ha coinvolto le regioni Sicilia e Liguria.


“È uno strumento che offre diversi benefici. Migliora la qualità della vita degli anziani, accresce l’autonomia funzionale, riduce gli accessi inappropriati al pronto soccorso e le ospedalizzazioni”, spiega Federico Pennestrì, coautore del lavoro, condotto anche da Rebecca Sergi (entrambi ricercatori dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano) e dal professor Nicola Pasini, associato di scienza politica della Università degli Studi di Milano


Peccato, sottolineano i ricercatori, che il cohousing sia ancora sulla carta nella maggior parte delle Regioni e che l'esperienza italiana soffra ancora di molte difficoltà, anche terminologiche. La distinzione tra coabitazione e co-residenza, ad esempio, è raramente operata nelle disposizioni regionali. La prima consiste nella condivisione di servizi e spazi domestici nella stessa unità abitativa. La seconda consiste nella condivisione di servizi comuni, ma nel mantenimento delle unità abitative e degli spazi domestici privati.

Per quanto riguarda i destinatari, solo l'Emilia Romagna e la Provincia di Bolzano prevedono la possibilità di estendere il servizio a persone non autosufficienti. Il Piemonte, a sua volta, è l'unica regione che consente anche la convivenza intergenerazionale. “Il cohousing è un servizio per persone autodeterminanti più che autosufficienti. Ha senso se gli appartamentini sono realizzati in edifici accanto a strutture assistenziali per anziani, pensiamo a una Rsa, in modo da poter beneficiare del contatto diretto con la centrale dei servizi in caso di bisogno. Per l’anziano sarebbe uno stress inutile trasferirsi prima in un appartamento in co-housing e poi, quando le condizioni si aggravano, in una struttura protetta in tutt’altra parte della città”, ritiene Fabio Toso, direttore generale della Fondazione “Opera Immacolata Concezione” di Padova, ente che dal 1996 gestisce 70 appartamenti in cohousing e che nel 2016 ne ha aggiunti altri 28.


“L’anziano va rassicurato perché l’abitazione è l’ultimo baluardo di risparmio. Purtroppo le incertezze del welfare inducono a preferire di morire da soli in casa propria piuttosto che in un posto che oggi funziona e domani chissà se funziona e chi lo gestirà”, afferma Maurizio Trabuio, direttore della Fondazione “La Casa”, onlus che gestisce 14 alloggi per anziani nella zona urbana di Padova. “In Italia gli anziani sono meno propensi a vivere con altri anziani non familiari”, concorda Pennestrì, che è anche l’autore di “Eppur si Muore. Vivere di più o vivere meglio?”. 



Case di riposo, rsa e case famiglia